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Come partecipano all'interno del processo creativo i luoghi e gli edifici vissuti in prima persona? 

Bruno Vaerini

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Ciriaco d'Ancona, Partenone

«Per un architetto il viaggio è sicuramente il tassello più importante. Visitare i luoghi di persona è una parte irrinunciabile della formazione e deve essere una ricerca costante. Un ricordo indelebile, che ancora mi emoziona, è la prima volta che mi sono trovato di fronte al Partenone. Le risposte sono diverse per tutti, non posso riassumere a parole il nutrimento che ho ricevuto allora e tutte le altre volte che il mio sguardo ha incontrato delle architetture parlanti. La mia riflessione sugli elementi del costruire, sul loro rapporto con la natura è in continua evoluzione. La nostra società ha estremamente bisogno di autori autentici, visionari e sognatori, architetti veri. Partecipo all'interno di questo processo ponendomi sempre delle domande. Che differenza c'è tra arte e architettura? Cos'è la materia? La struttura si nasconde o si espone? In sintesi penso che la progettazione debba essere colta e radicata nella storia».

Pietro Gellona

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Fraser Island, Australia

«Sono fondamentali. Ho avuto la fortuna di vivere o scegliere di vivere in luoghi diversi e in paesi diversi. Tali luoghi e

spazi sono costanti punti di riferimento, vuoi per le proporzioni degli spazi o per qualcosa di più etereo che si potrebbe

definire “atmosfera”. Molto spesso le effettive misure di quanto già fatto o vissuto sono alla base di quanto viene

progettato ex-novo. Fotografo molto e tale repertorio di immagini costituisce un patrimonio visivo che mi accompagna sempre e

al quale ricorro regolarmente per avere la conferma di essere sulla buona strada».

SET Architects

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Giovanni Battista Nolli, Pianta di Roma, 1748

«Dai luoghi che viviamo nascono delle forti relazioni. A partire dai luoghi di origine che raccontano molto di quello che siamo e di come vediamo il mondo. 

Siamo consapevoli che la nostra è una visione occidentale del mondo e che non potrà mai essere uguagliata con quella di una persona proveniente da un altro continente. Il fattore culturale è determinante. Per questo motivo consideriamo il viaggio uno strumento di arricchimento, che ci porta ad una apertura mentale necessaria al processo creativo. Il momento della scoperta stimola dei processi che con il tempo vengono rielaborati e che riemergono sotto forma di riferimento. 

C’è quindi un’operazione legata alla memoria e all’esperienza che riteniamo fondamentale nella stesura di un progetto. L’architettura va vissuta e in prima persona perché è nell’interazione con lo spazio che nascono delle sensazioni. Solo vivendo un luogo se ne può apprezzare l’atmosfera e solo dall’osservazione diretta si può arrivare ad avere di un edificio un proprio reale parere personale».

Baserga Mozzetti

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Fienile, Valle di Blenio

«Rappresentano esperienze inscindibili dal proprio essere e fare».

Atelier Remoto

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Copacabana, 2012

«La memoria storica, sensoriale, affettiva dei luoghi, fragile e cangiante, è per noi punto di riferimento, partenza e arrivo. 

Ci sono stati luoghi che hanno definito e segnato il nostro passato, il focolare di Via Stella, attorno al quale si è riso, discusso, pianto, raccontato, giocato, aspettato, letto, disegnato, dormito, mangiato, bevuto, cantato, progettato, e chissà quant’altro. Ultima casa della via, entra nel patio e su su, fino all’ultimo piano, la porta a sinistra è la nostra, è sempre aperta. La casa è un po’ fredda ma questa sera si accende il camino, porta del vino se ti va. Le proporzioni della stanza e della cucina, così come quel tavolo tondo in legno, riscattato da chissà quale passato di bisboccia, sono riferimenti indimenticati di un vissuto domestico, di una casa alcova e nido. 

Ci sono stati luoghi fatti di nulla, lezioni della più sincera frugalità, eppure esemplari nella risoluzione di un programma minimo, come la capanna con i muri in terra cruda in cui casualmente siamo capitate sulla Isla del Sol, in mezzo al lago Titicaca. Una sola stanza, tre metri per tre, c’è appena lo spazio per un letto noi due e i nostri zaini stracolmi. Tre finestrelle di piccole dimensioni, una verso est, una verso nord, e una verso ovest, come una meridiana, quella microscopica stanza sembra voler raccontare l’intero ciclo solare e la potenza di quel paesaggio che si modifica col trascorrere del tempo, le ore, i giorni, le stagioni. Oppure come il bivacco Aldo Moro, tra la Cima di Bragarolo ad est e il Coston dei Slavaci ad ovest, sulla catena del Lagorai in Trentino, fatto solo di lamiera pitturata di rosso, così che sia sempre visibile anche tra le nubi. Una tana per montanari, meno di tre metri per meno di quattro, nove brande reclinabili e un tavolo al quale sedersi dopo la salita. Architetture che sentiamo particolarmente nostre in quanto parte di un vissuto condiviso sono Casa Arzalè di Marco Zanuso e il progetto Terrazze Fiorite di Giuseppe Gambirasio e Giorgio Zenoni. Nella prima abbiamo avuto la fortuna di trascorrere un periodo di vacanza. La scelta dei materiali, la relazione tra spazi interni ed esterni, tra introversione ed affaccio, tra paesaggio e costruito, sono lezioni che abbiamo interiorizzato durante le lunghe cene attorno al tavolo in pietra del patio centrale, durante i pomeriggi di sole trascorsi sul tetto, col calore del granito sotto la schiena e i piedi a penzoloni sul mare, durante i momenti di letture mattiniere all’interno delle profonde nicchie delle finestre. D’altro canto le Terrazze Fiorite, in cui una di noi due è nata e cresciuta, è un riferimento fortissimo nella nostra concezione dello spazio pubblico come gradazione, come percorso, avvenimento e incontro. Generazioni di ginocchia si sono sbucciate nelle corse coi sacchi e nel salto alla corda in quei percorsi pedonali degradanti, tra le piazzette pensili, corti e giardini. Infinite le sere d’estate a cercare un filo d’aria tra le piante rigogliose di mamma Livia, con i bassotti dei vicini che abbaiano in sottofondo».

Marko Radonjić
 

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«Quando inizio un progetto, in prima istanza ricerco nei ricordi un’esperienza vissuta corrispondente al lavoro che devo affrontare. La memoria è la risorsa più importante. Mi succede, durante un viaggio o una vacanza, di aggirarmi in alcuni luoghi controllando i dettagli delle facciate o l’atmosfera di una strada. Questo mi permette di costruire un archivio personale per le opere che realizzerò successivamente. Le reazioni intuitive si rivelano, solitamente, le più corrette, ma ho bisogno di espanderle, di svilupparle. Cerco di evitare i siti internet di architettura e di focalizzarmi su esperienze empiriche. Esistono molti archivi, fisici o digitali, che forniscono un’ottima selezione di riferimenti, siano essi di opere antiche, vernacolari o contemporanee, ma ho bisogno del mio processo personale, che prende inizialmente forma attraverso un ''moodboard'' per poi articolarsi maggiormente nelle fasi seguenti».

José Martins
 

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Landscape condition, Guimarães, 2018

 

«È fondamentale percepire l’energia dei luoghi riflessa nel paesaggio e nei flussi urbani, alle diverse scale. L'osservazione attenta conduce infatti a suggestioni personali, corrispondenti a stimoli progettuali in cerca di quell'equilibrio necessario alla buona riuscita di un'opera. Talvolta è consigliabile accompagnare tale metodologia di avvicinamento al progetto con strumenti più analitici, come lo studio delle funzioni e delle tipologie richieste».

Iván Bravo
 

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Luce e materia / Casa El Gauchal

 

«Non riconosco un legame diretto tra la progettazione e l’esperienza di edifici conosciuti in prima persona.

Esiste una relazione empirica tra noi e il mondo che ci circonda. Cerco sempre di sviluppare con il contesto un rapporto di tipo metodologico, durante il quale appropriarmi di sensazioni puntuali.

Esploro i luoghi o il paesaggio attraverso fotografie, scritti e misurazioni, indagando insistentemente i materiali, sottoponendoli a molteplici prove e privilegiando l’analisi attenta dell’architettura delle costruzioni piuttosto che abbandonarmi alla sola esperienza sensoriale.

È indubbiamente presente una certa organizzazione degli stimoli derivanti dalle opere vissute personalmente, ma credo sia necessario accompagnarla sempre ad una pratica umana, una intuizione.

Da architetto o artista, considero il contributo empirico dell’esperienza il passo successivo rispetto ad un processo di pensiero razionale».

Howland Evans
 

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Grotto Grassi, Tremona


 

«I vari lockdown durante la pandemia ci hanno forzato a ad un cambio di visuale verso libri, riviste, conferenze da remoto e sui social networks. In un certo senso è stato un momento piuttosto eccitante durante il quale una buona parte del tempo quotidiano che prima era occupato dal pendolarismo o da spostamenti per riunioni e incontri, si è liberato ed è stato impiegato da interazioni digitali. Improvvisamente, non solo era possibile, ma addirittura considerato normale, invitare un architetto australiano a fare una lezione “nel” Regno Unito, o a svolgere un seminario di una settimana “a” Zurigo. Ma la ricchezza di queste nuove esperienze non ha compensato del tutto con la piattezza di un ritiro forzato all’interno di un appartamento o, nella migliore delle ipotesi, con la vista delle facciate dei palazzi fiancheggianti strade vuote, in cui le passeggiate al calar della sera divenivano l’unica opportunità di vita urbana, spiando, attraverso le finestre con le luci accese, le persone che iniziavano a prepararsi per l’ennesima serata passata in casa. La mancanza dei locali pubblici si è sentita in modo profondo e la città, da luogo di incontro, è divenuta luogo di solitudine, vissuta, al massimo, nella cerchia di un ristretto gruppo familiare. Contemporaneamente c’è stata la perdita delle occasioni di viaggio, niente più disorientanti passeggiate in una città sconosciuta, o pellegrinaggi in mezzo al nulla alla ricerca di un edificio nascosto (con malcelata frustrazione dei compagni di viaggio), niente più stimolanti viaggi di studio con gli studenti, o la possibilità di isolarsi dal ronzio delle conversazioni e dal tintinnio di coltelli e forchette mentre ci si versa un bicchiere di vino in un campo veneziano, niente più passeggiate in una radura in un bosco tra le montagne del Ticino o il rilassarsi nel tramonto di un cortile dell’Avana. Queste esperienze e le ambientazioni in cui hanno avuto luogo, sono diventate parte di un archivio, una collezione di riferimenti, non solo di edifici o di loro dettagli, ma anche di ciò che possono far accadere, del modo in cui prendono vita quando vengono vissuti ed utilizzati. Queste sono informazioni da cui attingiamo consciamente o meno, durante l’intero processo di creazione di uno spazio. Ora, questa parte del mondo in cui viviamo, sta lentamente riemergendo, stiamo godendo questo ritorno alla vita e la possibilità di tornare ad arricchire il nostro personale archivio di idee».

Whale!
 

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Andrej Tarkovskij, Stalker


 

«Crediamo che qualsiasi processo creativo si alimenti, consapevolmente o meno, dell’esperienza personale. Nel nostro caso, più che a luoghi o edifici precisi, ci riconosciamo debitori di un ricordo sfocato, un’atmosfera ai limiti dell’impalpabile che cerchiamo vanamente di riconquistare in ogni progetto. Una sensazione sorda, carica di intimità e protezione che ha origine nel passato profondo, all’alba della nostra infanzia».

a-works
 

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31 Buildings


 

«Accade spesso di guardare il mondo attraverso la lente del progetto a cui sto lavorando in quel determinato momento. Potrebbe essere la banale preoccupazione di come realizzare una maniglia di una porta e allora mi focalizzo su tutte le maniglie che incontro. Oppure capita di essere colpiti da un determinato incontro con uno spazio o una situazione particolare, e cercare di approfondirla nella speranza di riprodurre negli altri una sensazione analoga. L’Architettura ha a che fare con tutto questo ma allo stesso tempo è spesso legata a elementi che vengono offerti dalla quotidianità. Considero il mio corpo un potente mezzo per capire il mondo e non vedo altri metodi per poterlo fare».

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